Fra le trame della guerra in medio oriente

Storia e psicologia.

scritto da Marika Massella, dottoressa in psicologia

1. Introduzione

Il conflitto Palestina-Israele fonda le su radici lungo la storia del secolo scorso, anche se i dissapori esistevano già da tempo, causati da una migrazione in massa del popolo israeliano verso la Palestina musulmana “Anche se la migrazione di ebrei europei verso questo territorio [la Palestina]era cominciata già alla fine del ‘800, il fenomeno divenne più consistente con la fine della Prima guerra mondiale (…)”1. Il conflitto sottolinea la necessità di un popolo, quello israeliano appunto, di avere una terra, di poter definire la propria cultura all’interno di un paese; necessità che si scontra inevitabilmente con la presenza di un altro popolo, di un’altra cultura (quella palestinese) che vive ed abita la suddetta terra. Il conflitto dunque si riassume nella contesa di una posto tra chi cerca di affermare la propria cultura cercando di porre le proprie basi finalmente da qualche parte e chi si vede portare via la propria terra ed i propri luoghi di appartenenza.

2. Un po’ di storia

2.1 Prima e seconda guerra tra Palestina ed Israele

La migrazione del popolo israeliano verso la terra palestinese inizia alla fine dell’800 e prosegue per tutto il ‘900 passando attraverso scontri, momenti di guerra e situazioni di pace momentanea.

Nel 1948, subito dopo la fine della 2’ guerra mondiale, l’ONU riconosce uno stato di Israele in terra Palestinese, è il 15 maggio, otto giorni dopo, l’Egitto, la Giordania e la Siria attaccano il neonato Stato con il motto “la Palestina è un paese arabo da 12 secoli e tale deve rimanere”; dopo 25 giorni l’ONU impone il cessate il fuoco con la risoluzione 181, Israele riesce ad estendere i propri confini incorporando la Galilea orientale, il Negev e Gerusalemme ovest e un milione di profughi palestinesi è costretto a muoversi dai territori conquistati, lasciando le proprie terre e le proprie case2. Termina così la prima guerra tra arabi ed ebrei, ma l’odio rimane vivo e viene alimentato attraverso piccole guerriglie e scontri soprattutto nei luoghi di confine, provocando un contingente numero di morti e feriti negli anni a seguire, a tal proposito durante la Seduta del Consiglio di Sicurezza del 1955, si afferma la necessità di delineare una zona neutra presso Gaza, con lo scopo di diminuire ed eliminare tali scontri continui; nonostante ciò, già nella primavera del ‘56 altri combattimenti erano agiti in territorio palestinese, il quale si è trovato a vivere nuovamente la paura di una guerra imminente: il presidente egiziano Nasser decide di bloccare gli stretti di Tiran e il golfo di ‛Aqaba, impedendo così l’accesso al mare ad Israele, l’esercito israeliano rispose avanzando fino al canale di Suez. Durante questa seconda guerra fra le parti in gioco, vediamo Francia e Gran Bretagna unirsi al conflitto, mossa condannata da ONU, URSS e USA i quali inviarono in loco una forza di interposizione, i caschi blu3, con lo scopo di far ritirare le forze francesi, anglosassoni ed israeliane. Al termine dello scontro viene ristabilita la libertà di navigazione ad Israele.

2.2 La guerra dei sei giorni e le fazioni rivoluzionarie arabe

Una nuova scintilla tra i popoli scoppia a giugno 1967: con un offensiva lampo, Israele minaccia di attaccare la Siria la quale risponde in modo imminente piazzando militari presso la regione del Sinai con lo scopo di difesa; dal proprio canto Israele afferma che la Siria da mesi era diventata un campo trincerato dove si addestravano militari pronti per un offensiva, e per questo motivo ha dovuto mobilitarsi per difendersi. Qualunque sia stato il reale motivo della nuova scintilla, essa è scoppiata e fatta tacere nel giro di 6 giorni, durante i quali Israele occupa Gaza, il Sinai (Egitto), la Cisgiordania, Gerusalemme Est (Giordania) e l’altopiano del Golan (Siria): “la guerra del giugno 1967 ha rappresentato un punto di svolta decisivo nella storia del moderno Medio Oriente. Ha ridefinito i contorni del conflitto arabo-israeliano nonché i termini della sua soluzione”4. Grazie all’esito positivo della guerra, Israele estende i propri confini e può unificare Gerusalemme sotto la propria sovranità, proclamandola capitale “unita e indivisibile” nel 19805. Successivamente alla guerra dei sei giorni, la tensione tra i popoli rimane alta e soprattutto risente delle emozioni negative provate dalla frangia araba, che si è vista sconfitta in seguito a tale attacco a sorpresa; la tensione rimane costante attraverso attentati e scontri mossi dai guerriglieri arabi, in particolare dai fedayn, letteralmente “pronti a morire per la propria patria”6. Le milizie arabe rimangono ferme nei propri principi e nelle proprie credenze, senza scendere a compromessi; anche di fronte alla risoluzione adottata all’unanimità dall’assemblea generale delle NU (22 nov. 1967)7 non cambiano le proprie idee, le quali rimangono ben salde nella fede alla propria terra natale: “noi per principio non accettiamo nessun atto che sia firmato dagli Stati Uniti che negli ultimi anni non hanno fatto nulla nei confronti degli arabi, per questo non possiamo accettare le risoluzioni da loro ispirate e continueremo a combattere. Noi rifiutiamo le risoluzioni dell’ONU, siamo disposti solo a combattere per liberare le Palestina che ci è stata tolta dagli israeliani che consideriamo stranieri” […] “Rifiutiamo di accettare qualsiasi risoluzione che ci impedisca di tornare alle nostre case8. L’organizzazione che unisce i guerriglieri arabi prende il nome di OLP (organizzazione per la liberazione della Palestina – istituita nel 1967) che fu coinvolta, nel corso degli anni ‘70 e ‘80 del ‘900, in una serie di atti di guerriglia e di terrorismo internazionale e interarabo9.

2.3 La guerra dello Yom Kippur e gli accordi di Camp David

Dopo alcuni anni di silenzio, nell’ottobre del ‘73 scoppia la quarta guerra fra le parti in gioco, denominata “dello Yom Kippur” (nome che deriva dalla festività ebraica accaduta nel giorno di inizio del conflitto) la quale vede la volontà del popolo arabo di riconquistare la penisola del Sinai: attraverso un attacco a sorpresa l’esercito egiziano occupa la penisola del Sinai e contemporaneamente la Siria attacca le alture del Golan, ponendo Israele in una posizione di difficoltà; le sorti si ribaltano velocemente e la guerra termina con una risoluzione dell’ONU dopo tre settimane portando anche alla definizione degli accordi di Camp David nell’autunno del 1978: il presidente americano Carter, il presidente egiziano Sadat e il primo ministro israeliano Menahem Begin si riuniscono per delineare una soluzione definitiva e giusta, definendo due principi fondamentali: la pace in Medio Oriente e la pace tra Israele ed Egitto. Tali accordi videro una risoluzione parziale: alla Palestina non fu infatti riconosciuta l’indipendenza nazionale (come richiesta attraverso il primo principio) e negli anni successivi le tensioni e le conflittualità tra i paesi non diminuirono; nonostante ciòle truppe israeliane iniziarono la propria smobilitazione dalla Penisola del Sinai (come richiesto con il secondo principio): nell’aprile del 1982 l’occupazione israeliana terminò definitivamente e i rapporti tra le due fazioni iniziarono a normalizzarsi.

2.4 Gli anni delle Intifada

Malgrado la situazione stabile, gli anni a seguire sono caratterizzati da numerose tensioni interne: dalla frangia araba iniziano alla fine degli anni ‘80 una serie di proteste (intifada10) atte a difendere il proprio diritto nazionale non riconosciuto e si vede la nascita del Movimento della Resistenza Islamica (Hamas). Dalla parte israeliana vediamo l’ascesa al governo di Netanyahu (1996) evento che in simultanea con altri fattori, bloccarono i negoziati lasciati in sospeso dagli Accordi di Oslo11, sferrando così un duro colpo al processo di pace.Nei successivi venti anni la tensione tra i popoli rimane molto alta con il susseguirsi di nuovi scontri e guerriglie che vedono sempre in prima linea i rivoluzionari arabi con l’intento di riconquistare i propri diritti perduti (seconda e terza intifada12); il clima guerrigliero pone i popoli a vivere nella paura e nel terrore, senza una conclusione che possa porre la parola fine a tanti anni di scontri.

2.5 Tempi odierni

È nell’autunno del 2020 che nuovi accordi vengono presi fra i paesi, ponendo così le basi per una condizione di pace; gli Accordi di Abramo permettono di riconoscere pari dignità e diritti al popolo israeliano e palestinese, con lo scopo di un cessate il fuoco e di una coabitazione serena ed in pace: “noi sottoscritti riconosciamo l’importanza di mantenere e rafforzare, in Medio Oriente e in tutto il mondo, una pace fondata sulla comprensione reciproca e sulla coesistenza, nonché sul rispetto della dignità umana e sulla libertà, compresa la libertà di religione13. Questo momento segna finalmente il termine delle tensioni, la cessazione della conflittualità e della paura ed il riconoscimento della pace tra i popoli14 per regolare il dialogo, la cooperazione e una buona relazione fra le parti. Fino ad arrivare ai giorni nostri: il 7 ottobre 2023 il gruppo radicale Palestinese di Hamas, attacca via aerea, mare e terra, Israele.

Perché? Cosa ha causato un attacco così cruento, riaccendendo la fiamma dell’odio e della paura?

Per rispondere a queste domande legittime, che celano migliaia di morti (appartenenti ad entrambe le fazioni), approfondiamo la relazione tra, e la storia dei, popoli Israeliano e Palestinese attraverso un excursus psicologico, che ci permetterà di comprendere le basi mentali che hanno mosso periodi di tensioni e guerre in Medio Oriente lungo il corso del secolo scorso arrivando fino ai giorni nostri.

3. Psicologia dell’appartenenza

Lo sviluppo dell’uomo passa attraverso tante variabili che possiamo riassumere in tre macro-categorie: componente biologica, componente psicologica e componente sociale, le quali si intersecano lungo la vita del singolo; la componente sociale nello specifico racchiude i valori ed i sentimenti connessi alle dinamiche sociali, dunque alle relazioni interpersonali che l’individuo agisce con e tra i propri simili. Le aggregazioni garantiscono all’individuo il confronto, l’aiuto e la condivisione, elementi necessari per una vita felice e ad uno sviluppo sereno. Sentirsi parte di qualcosa assicura l’uomo contro la solitudine e soprattutto ne permette il riconoscimento e la definizione di un proprio valore personale: “l’appartenenza è il senso di inclusionee la percezione del proprio valoreall’interno di un contesto15. Il senso di appartenenza è un sentimento comune di tutta l’umanità che permette all’essere umano di definirsi all’interno di un gruppo di propri simili; dal punto di vista sociale è uno dei bisogni primari dell’uomo16 poiché consente la formazione della propria individualità attraverso il rapporto ed il confronto con l‘altro diverso da sé. Sentirsi appartenenti a qualcosa, che sia un luogo, una religione o un gruppo di persone, aiuta l’uomo a definire se stesso, a costruire la propria persona, il proprio sé.

4. Psicologia della casa

La sicurezza ed il senso di protezione sono elementi presenti in primo luogo nel rapporto duale madre-bambino, diade che rappresenta il primo legame che l’infante possa esperire; tale rapporto si definisce all’interno del concetto di attaccamento: “il piccolo non ricercava solo il nutrimento (…) il legame [tra madre e bambino], l’attaccamento, era legato alla ricerca di protezione, di serenità, di calore affettivo, di sensibilità da parte della madre”17Il concetto di attaccamento fonda le sue radici nella psicologia dello sviluppo, precisamente negli studi di John Bowlby, il quale ne ha permesso la definizione attraverso osservazioni e studi sperimentali: il rapporto madre-bambino caratterizzato da fiducia, amore e serenità, definisce un legame sano e sicuro, al contrario, se le basi fondano le proprie radici su insicurezza, paura e disorganizzazione, si osserverà un legame insicuro e problematico18. Il rapporto madre-bambino rappresenta dunque il primo legame d’amore, che racchiudendo varie emozioni e sentimenti, determinando per l’infante le proprie relazioni future: “Gli adulti ripropongono i modelli di relazione interiorizzati nell’infanzia grazie ai modelli operativi interni, ovvero rappresentazioni mentali che contengono un grande numero di informazioni, su di sé e sulle figure di attaccamento, che riguardano la maniera più probabile in cui ciascuno risponderà all’altro con il cambiare delle condizioni ambientali19”.

Osservando questo concetto dall’alto, potremmo definirlo all’interno di un ottica a più livelli: nel primo poniamo la diade madre-bambino e in un secondo livello la propria casa e la propria famiglia. Tale descrizione non ha fondamento scientifico, ma può essere interpretata logicamente prendendo in esame i sentimenti che scaturiscono dal primo legame d’amore e come questi possano essere traslati in egual misura nei confronti della propria casa; infatti concetti come senso di appartenenza, senso di sicurezza e di protezione, sono esperiti dall’individuo anche nei confronti della propria casa e famiglia di appartenenza. La casa rappresenta per l’uomo un posto sicuro, un luogo in cui potersi rifugiare al riparo da tutti e da tutto. Psicologicamente parlando, è sinonimo di zona di comfort, posto in cui risiedono le proprie radici ed i propri valori, rappresenta un legame con la propria famiglia e con il proprio passato: la casa è per l’uomo un luogo di protezione e di serenità.

5. Psicologia della nazione

Ad un livello superiore, la casa veste i panni della città natale, per la quale si provano le stesse emozioni citate nel paragrafo precedente, e ad un livello ancora più alto, riporta alla regione ed alla nazione di provenienza. Sentire di fare parte di una nazione coesa, la quale è per e con il cittadino permette al singolo di esperire sentimenti di sicurezza e protezione: l’individuo si sente al sicuro all’interno di una realtà più grande di lui la quale lo protegge e si muove anche in suo favore. Per psicologia della nazione possiamo intendere tutti questi sentimenti già citati che l’individuo prova nei confronti dalla propria nazione natale e di come, sentendosi protetto ed al sicuro, possa riversare verso di essa la propria fiducia, ripagata da diritti e libertà riconosciute. Riconoscersi dunque all’interno di una nazione è sinonimo di forza coesa, di senso di appartenenza e soprattutto di senso di protezione; questi sentimenti sono esperiti da tutti i cittadini nei confronti della patria natale. Non sempre però il rapporto è positivo e sano (in parallelo con gli studi citati sull’attaccamento), può accadere che la propria nazione non sia sinonimo di sentimenti positivi, può succedere che essa non riconosca ai cittadini i giusti diritti e libertà e non riesca a proteggerli come dovrebbe; è inoltre possibile che non esista affatto, come nel caso del popolo israeliano, il quale si trova orfano di una nazione riconosciuta. È all’interno di questo discorso, insito nella psicologia sociale, che possiamo ragionare sull’importanza che qualunque popolo dà alla propria nazione di appartenenza; tutte le culture risiedono in un qualche posto: ogni stato è tale perché presenta una nazione fisica nella quale opera e sulla quale vivono i propri cittadini. Un contesto concreto permette una buona stabilità ed un senso di appartenenza reale, i cittadini che vivono una terra sentita ed esperita come propria, sviluppano per essa un forte senso di appartenenza, sentimento che permette loro di viversi in modo coeso e di sentirsi connessi gli uni agli altri.

6. Psicologia tra i popoli

Riprendendo il discorso espresso nei paragrafi precedenti, dunque, da un punto di vista umano, la necessità espressa dal popolo israeliano è legittima: rivendica un luogo, una terra alla quale poter finalmente appartenere; il popolo israeliano esiste senza una nazione in terra, questa mancanza si riflette inevitabilmente a livello psicologico come un’assenza di base sicura alla quale potersi affidare e per la quale provare un senso di appartenenza. Questa situazione influisce di conseguenza la popolazione spingendola a ricercare un luogo fisico nel quale poter fondare la propria cultura, così da sentirsi finalmente appartenente ad un posto. Da tali presupposti inizia lo scontro denominato “guerra infinita” quasi 100 anni fa, inizia dalla necessità di un popolo di fondare il proprio stato da qualche parte nel mondo, purtroppo però, senza prendere in considerazione le conseguenze umane ed umanitarie che questo proprio diritto possa causare nella popolazione già presente in loco: dal punto di vista umano la migrazione che il popolo palestinese ha subito può essere definita un sopruso, un atto di forza e di prepotenza agito con lo scopo di conquista. Il popolo palestinese si è visto portare via la propria terra, le proprie case, i propri posti, la propria appartenenza e senso di sicurezza nazionale. Ci si trova così di fronte ad una situazione paradossale: la necessità da una parte di fondare la propria nazione a discapito di un altro popolo che se la vede portar via. Il senso di rivendicazione è dunque vissuto da entrambi i popoli, i quali per motivi diversi, si trovano a rivendicare i propri diritti e libertà nei confronti di una nazione fisica: da una parte è presente la necessità di rivendicare il proprio diritto al suolo, dall’altra la perdita del proprio territorio, da un lato c’è la rivendicazione della propria razza su una nazione, dall’altro vediamo la confisca dei luoghi in cui era stata fondata la propria patria; insomma un tira e molla tra chi ha più ragione e tra quali diritti siano più importanti, purtroppo però, a discapito di migliaia di civili straziati da anni di guerra, saccheggi, rapimenti, tanta violenza e fiumi di sangue.

7. Ultime riflessioni

Questo saggio di carattere storico e psicologico fra le trame della guerra in medio oriente ha permesso di comprendere le motivazioni che ne sono alla base garantendoci una visione a tutto tondo soprattutto imparziale; è chiaro che le colpe siano condivise e dunque non sono in errore esclusivamente gli “arabi terroristi” e non sono responsabili solo gli “ebrei conquistatori”: per motivazioni diverse, entrambi i popoli hanno agito in nome dei propri diritti da rivendicare. Questa riflessione conclusiva consente semplicemente di avere una conoscenza obiettiva degli avvenimenti, poiché, purtroppo, la storia è spesso riscritta senza dare giustizia a ciò che realmente è accaduto: quello che viene tramandato e studiato non sempre fa riferimento alla verità. Per esprimere meglio questo concetto, prendiamo in esame ciò che si è verificato successivamente alla scoperta del nuovo mondo da parte di Cristoforo Colombo: i coloni europei forti, con le armi e ben organizzati, sono riusciti a conquistare i possedimenti dei nativi americani, ad ucciderli (quasi sterminandoli), così da conquistare in toto le loro terre e fondare nuove nazioni. Questo sopruso è stato raccontato da svariati film attraverso un quadro idealizzato e romantico delle imprese di cowboy e coloni contro i “selvaggi” delle praterie20che non rende giustizia ai nativi, anzi vede i conquistadores come degli eroi, ribaltando le parti in gioco facendo passare per buoni i carnefici e come cattivi le vittime. Credo sia giusto esaminare tale avvenimento per far sì che chiunque guardi alla storia possa farlo sempre con una mente aperta e dubbiosa, ovvero che possa in ogni caso ricercare la verità e non prendere per buono solo ciò che viene raccontato. Questo perché è doveroso far sì che la memoria non venga ingannata e modificata a discapito della verità; se la storia ripropone gli eventi senza veridicità, ma solo con lo scopo di tramandare esclusivamente parte di essa nascondendo quello che realmente è accaduto, alla fine come si fa ad analizzare obiettivamente gli eventi? Studiare oggettivamente la storia permette all’essere umano di non ripetere gli stessi errori e di continuare ad agire in nome della giustizia, della libertà e della pace. Ritornando dunque all’argomento di questo saggio, potrà avere una sorte simile la ricostruzione negli anni del conflitto in medio oriente? Potrà essere raccontata una mezza verità a discapito di ciò che veramente è successo, facendo sì che si addossi la colpa solo ad una delle fazioni? Solo la storia potrà risponderci, sperando in un risvolto sereno, giusto, obiettivo e pacifico.

8. SITOGRAFIA

APPROFONDIMENTO STORICO

https://www.treccani.it/enciclopedia/guerre-arabo-israeliane

https://www.assopace.org/index.php/doc-multimedia/focus/focus-palestina/storia-palestina/175-storia-palestina-1918-1948#:~:text=1918%20%2D%20La%20Palestina%20%C3%A8%20governata,leggi%20turche%20fino%20al%201920

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-israele-palestina-12-grafici-per-capire-come-siamo-arrivati-fin-qui-126406

https://www.raiplay.it/video/2023/11/Speciale-Tg1-La-guerra-infinita-d17dbbc0-ab1c-4b07-85b6-c44370f9cc7f.html

https://www.treccani.it/enciclopedia/caschi-blu

https://pages.di.unipi.it/gallo/ScienzaePace/Guerra6Giorni.html

https://www.treccani.it/enciclopedia/gerusalemme

https://www.treccani.it/vocabolario/fedayin

https://www.treccani.it/enciclopedia/risoluzione-onu-242_%28Dizionario-di-Storia%29

https://www.treccani.it/enciclopedia/olp_%28Dizionario-di-Storia%29

https://www.studenti.it/medio-oriente-dalla-guerra-del-kippur-agli-accordi-di-camp-david.html

https://www.treccani.it/enciclopedia/intifada

https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/intifada-cosa-e#:~:text=La%20prima%20%C3%A8%20del%201987,recenti%20del%20conflitto%20israelo%2Dpalestinese

https://www.treccani.it/enciclopedia/oslo_%28Dizionario-di-Storia%29

https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Gli_Accordi_di_Abramo_un_anno_dopo.html

APPROFONDIMENTO PSICOLOGICO

https://www.unobravo.com/post/senso-di-appartenenza-ed-espatrio

https://www.sopravvivere.org/la-piramide-dei-bisogni-di-maslow/

https://www.stateofmind.it/attaccamento

https://www.istitutobeck.com/psicoterapia-bambini/il-legame-di-attaccamento-concetti-chiave

Note:

1 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-israele-palestina-12-grafici-per-capire-come-siamo-arrivati-fin-qui-126406

2 I profughi troveranno asilo negli anni presso la Siria, la Giordania, l’Egitto; l’ONU destina vari fondi umanitari per loro, ma non bastano per vivere una vita dignitosa ed il desiderio di tornare alla propria terra cresce anno dopo anno. Nei campi profughi l’ONU si avvale di garantire il diritto all’istruzione, i ragazzi però, influenzati dall’ambiente circostante, invocano anche nelle aule l’odio verso gli israeliani, affermando la propria necessità di tornare in Palestina, che è la terra degli arabi.

3 Nati in questa occasione, sono soldati delle forze internazionali di pace dell’ONU, con compiti di controllo finalizzati al ripristino della normalità politica e civile nel paese in cui operano. Hanno ricevuto il Nobel per la pace nel 1988 [https://www.treccani.it]

4 https://pages.di.unipi.it/gallo/ScienzaePace/Guerra6Giorni.html

5 https://www.treccani.it/enciclopedia/gerusalemme/

6 «devoto, votato (a un ideale e alla morte)» – Denominazione, nei sec. 12° e 13°, degli appartenenti alla setta musulmana degli assassini, ripresa successivamente dai volontari arabi della resistenza palestinese nella lotta contro Israele [https://www.treccani.it]

7 Con la quale si stabilivano i due principi fondamentali di risoluzione del conflitto israelo-palestinese: «terra in cambio di pace» ossia ritiro di Israele dai luoghi occupati in cambio del riconoscimento da parte degli Stati arabi; «giusta soluzione del problema dei profughi» interpretabile come diritto al ritorno dei profughi palestinesi o come compensazione politica ed economica. Entrambi i principi generarono, immediatamente e nel seguito, interpretazioni contrastanti, e non sono stati finora attuati [ibidem]

8 Intervista ai fedayn – Documentario ‘La Guerra Infinita’ Rai Play, Speciale TG1, 12/11/2023 (minuti 38-40 & 43-45).

9[https://www.treccani.it]

10 Dall’arabo «scuotimento» rivolta popolare sviluppatasi nei territori palestinesi occupati da Israele nel 1967. Estesa da Gaza alla Cisgiordania, fu caratterizzata da scioperi, dimostrazioni, scontri con le forze occupanti e azioni di disobbedienza civile [https://www.treccani.it]

11 Accordi fra le parti in gioco stipulati nel 1993; questi prevedevano finalmente la risoluzione a due stati, riconoscendo l’indipendenza della Palestina, l’istituzione di un’autorità Nazionale palestinese ed il ritiro militare israeliano dai territori occupati [ibidem].

12 Le intifada sono state tre: la prima nel 1987, “Intifada delle pietre”: una sommossa talmente imponente che rese difficile la controffensiva israeliana; la seconda scoppiata nel 2000, risultò ancora più violenta della prima: furono diverse le azioni di guerriglia e gli attentati kamikaze attuati in numerose città israeliane; la terza del 2015, si trattò di una violenta forma di lotta che avvenne in un periodo molto difficile durante i negoziati di pace tra Israele e Palestina. [https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/intifada-cosa-e#:~:text=La%20prima%20%C3%A8%20del%201987,recenti%20del%20conflitto%20israelo%2Dpalestinese]

13 [https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica]

14 Accordi siglati fra Israele, Emirati Arabi, Egitto e Giordania [ibidem]

15 https://www.unobravo.com/post/senso-di-appartenenza-ed-espatrio

16 Piramide di Maslow

17 https://www.stateofmind.it/attaccamento/

18 Gli stili di attaccamento si suddividono in sicuro ed insicuro; mentre il primo risulta essere univoco, il secondo riporta un’ulteriore suddivisione: insicuro evitante, insicuro ambivalente, disorganizzato. A seconda del rapporto instauratosi con la madre, il bambino farà esperienza di uno di questi stili, il quale definirà la base deli propri rapporti futuri; per ulteriori approfondimenti https://www.istitutobeck.com/psicoterapia-bambini/il-legame-di-attaccamento-concetti-chiave

19 https://www.stateofmind.it/attaccamento/

20 https://www.sopravvivere.org/chi-sono-gli-indiani-damerica-i-nativi-americani/